venerdì 22 febbraio 2013

Quale futuro per le riviste Rizzoli?

Salvata, almeno per ora, la storica sede del Corriere in via Solferino, la scure di Scott Jovane si abbatte sulle riviste Rizzoli. Le poche che sopravviveranno,  dicono le indiscrezioni della stampa, saranno progressivamente trasformate in portali commerciali. 
In altre parole, traducendo il gergo anglo-bottegaio, significa che le riviste adottano la formula che usiamo anche noi  di Pennyebook: l'affiliazione. Non banner pubblicitari, che rendono pochissimo, irritano i lettori e sono pesantemente intermediati da provider troppo potenti (google, tanto per non far nomi), ma inserzioni attentamente selezionate, che se ben fatte approfondiscono il contenuto degli articoli: per esempio, noi parliamo sostanzialmente di libri elettronici, e riteniamo che nessuno possa seccarsi se mettiamo il link ad Amazon dove questo libro si può comperare, e soprattutto dove si possono leggere le recensioni e i commenti degli utenti. Noi diciamo la nostra sul blog, chi il libro l'ha già letto dice la sua su Amazon, e l'informazione grazie a questo link ci guadagna. E ci guadagnamo anche noi, nel caso in cui qualcuno il libro se lo compra davvero (succede, di rado ma succede).
Ma la trasformazione delle riviste in portali ha imponenti implicazioni che cambieranno per sempre le riviste online. E non è detto che cambieranno in meglio.



Scott Jovane sa benissimo come gira l'ecommerce, venendo da Microsoft. Ma come gestirà la "portalizzazione" delle testate? E' una vera rivoluzione copernicana, visto che  nel passaggio da rivista a portale cambia la cosa più importante, e cioè qual è il prodotto che si vende. 

In una rivista si vende (appunto) la rivista; i suoi contenuti, il commento dei suoi editorialisti, la creatività dei grafici, la profondità dei suoi analisti. 
In un portale, si vendono le mutande, gli orologi, i libri, le scarpe, i biscotti che sono direttamente in vendita nei link.

E' molto diverso dal vendere pubblicità. In questo caso, un inserzionista pianifica una campagna su una rivista  di grande o grandissima tiratura perché vuole parlare a un pubblico selezionato di suo interesse, e cioè il bacino dei lettori di quella testata; lavora con la rivista, pianifica l'uscita della comunicazione giusta per quel tipo di lettore, lavora insieme ai giornalisti inviando loro anteprime, coinvolgendoli nelle conferenze stampa, creando un clima di collaborazione e fiducia reciproca. 
Il successo della rivista è il successo della sua campagna, quindi se è sveglio (e non sempre lo è) sa anche accettare le critiche e le stroncature, che possono aiutarlo a comunicare meglio con quella fetta di pubblico. 

Nell'affiliazione, l'inserzionista non ha la minima idea di dove usciranno i link ai suoi prodotti, visto che li gestisce un intermediario (Amazon, nel caso di Pennyebook) e i link vengono piazzati a discrezione della redazione (o del marketing della rivista), e l'inserzionista non ha la minima idea di dove, quando e in che contesto i suoi prodotti verranno visualizzati dai lettori.

Dal mosaico ai coriandoli
Questo fatto causa la prima grande rivoluzione culturale: a fare reddito non è più la rivista, che veniva scelta dall'inserzionista pubblicitario che la valutava globalmente.
Nel nuovo modello del portale, a fare reddito è il singolo post, che viene raggiunto in vari modi (social network, google, passaparola) in modo totalmente indipendente dagli altri post. Quindi la rivista esplode, diventa un aggregatore di post in competizione tra loro. Il timone, sacra icona di ogni periodico, si dissolve in mille post scollegati l'uno dall'altro. La rivista non è più un mosaico di pezzi che compongono un disegno, sembra piuttosto una manciata di coriandoli lanciati nel cielo. Non è detto che ciò sia un bene o un male, è semplicemente un fatto.

Le tre metriche di Scott
Inevitabilmente, il post diventa il cuore del prodotto editoriale. E ciò causa un conflitto di interessi: non tutti i post rendono allo stesso modo, perché non tutti i post sono altrettanto idonei a supportare le inserzioni dell'affiliazione, indipendentemente dalla qualità del contenuto. Per esempio, questo post è lungo, costa tempo a scriverlo (e a leggerlo), ma non ci renderà nulla, visto che parliamo di Rizzoli e non possiamo certo vendere la Rizzoli attraverso un link, come Totò con la fontana di Trevi. 
A noi la cosa importa poco o nulla, visto che Pennyebook è amatoriale e non dobbiamo vivere di questo. Ma una testata nazionale, che è spinta a massimizzare il guadagno dagli azionisti (e che ha anche la responsabilità di garantire il reddito ai suoi dipendenti) quanto investirà in articoli interessanti ma molto poco attraenti dal punto di vista dell'e-commerce? Una rivista-portale, che come abbiamo visto tenderà a trasformarsi in un aggregatore di post, sarà sottoposta a tre metriche (tre statistiche, per capirci) che potrebbero tranquillamente spingere in direzioni opposte. 

Da un lato la popolarità, cioè la metrica dei clic: quante volte un articolo è stato letto. Cosa che da soddisfazione a chi ha scritto il post, e magari anche soldi (ci sono iniziative di giornalismo partecipativo in cui gli articoli sono pagati un tanto a clic) ma non è molto significativo per la rivista. Un buon titolo basta ad aumentare il flusso dei clic, ma se poi il contenuto non è all'altezza il lettore se ne va un secondo dopo ed è come se non ci fosse passato del tutto.

Poi c'è la metrica dell'affiliazione, quella che piace al marketing, che dice quante cose sono state vendute e quindi quanti soldi entrano in cassa (con l'affiliazione, i siti guadagnano in percentuale al fatturato che generano, non ai clic). 

E infine la metrica di qualità, che dice qual è la reputazione online della testata. E' un pochino più difficile da ottenere delle altre due, visto che non è una somma di numeri grezzi ma un ampia rosa di dati da interpretare, basati sui commenti degli utenti, sulle discussioni nei social network, sulla viralità dei contenuti.
Scott Jovane conosce bene i complicati software  per  la business intelligence e per la web reputation, che possono anche mettere a confronto la reputazione di una rivista con quella concorrente (per capirci, qui c'è una analisi molto divertente, in cui si mettono a confronto la reputazione online del Papa quando ancora non era dimissionario con quella del Dalai Lama).

Queste tre metriche sono molto scollegate l'una dall'altra: una rivista può avere ottima reputazione, pochi clic e ancor meno vendite, un'altra può vendere molto, essere popolare ma avere una pessima reputazione, una può essere così tanto catalogo da vendere bene con pochi clic e reputazione infima, e tutte le possibili combinazioni.

Quale metrica sceglieranno le riviste-portali? Privilegeranno la reputazione, la popolarità o la vendita? I post saranno selezionati per essere popolari se non populisti (e quindi avere tanti clic), per essere profondi (e quindi avere una reputazione alta) o per essere perfetti per vendere cinesate? 

Questo è il nodo che Scott Jovane, e il marketing e le redazioni delle testate che sopravviveranno saranno chiamati a sciogliere. In base a quello che sceglieranno, tracceranno il futuro delle loro testate. 

Per approfondire

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